Nell’alto dei cieli
Il 17 marzo 2021 il Rc Bagno a Ripoli ha organizzato una serata interclub tra i Rotary dell’Area Fiorentina per dibattere di satelliti per telecomunicazioni.
Volano lassù nel blu che più blu non si può, non li vediamo nemmeno col binocolo, non li sentiamo sbattere le ali perché non ce l’hanno, o se hanno qualcosa di simile sono sempre ferme, immobili e silenziose…Pesano come un autobus, oppure sono leggeri come una colomba o poco più, ce ne sono di tutte le razze e di (quasi) tutti i Paesi del mondo, sono già almeno un centinaio: ma con annessi e connessi si moltiplicano tre o quattro volte per cui sono varie centinaia… La loro vita media è di dieci anni per quelli del formato-autobus, ma molto meno per quelli più piccoli, un annetto circa, poi scompaiono buttandosi in basso a capofitto verso terra, o spazzati via dall’ASNU dei cieli, tanto non servono più: forse come quegli over-80 in tempi di covid, trascurati dal sistema (sanitario) che gli centellina i pochi vaccini disponibili, anche se il caro prezzo lo hanno pagato (anche) loro…Ma che cos’è che vola lassù in cielo, di tutte le misure e di vita breve?
Ce lo spiega il 17 marzo 2021, con esemplare semplicità (e appassionata nonchalance) nel nostro ZOOM quasi quotidiano, Andrea Garzelli,
che insegna Telecomunicazioni a Siena, non alla TIM ma alla facoltà di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche: un cervellone noto perfino a Stanford (University, Palo Alto, California) che lo cita fra i maggiori al mondo nelle telecomunicazioni.
Così (più o meno) ce lo presenta Duccio Viligiardi, Presidente del RC Bagno a Ripoli, l’ organizzatore di questa seratina digitale dedicata al “telerilevamento satellitare”.
Ecco svelato il piccolo scherzoso mistery di cui sopra, quelli che volano lassù nel blu, non dipinti di blu ma d’argento, di stazza variabile dalla spanna all’autobus e dal peso che va da qualche tonnellata ai pochi chili, sono appunto i nostri satelliti, e in particolare quelli destinati a curiosare sulla nostra terra in lungo e in largo, praticamente dappertutto purchè non ci siano nuvole e smog, i nemici giurati delle belle “riprese ottiche” cioè con le fotocamere puntate in basso, verso di noi, per “telerilevare” cosa facciamo, cosa capita al nostro vulcano di zona, all’incendio nella nostra foresta vicina, alle navi più o meno militari che scorrazzano avanti e indietro nel nostro porto preferito, alle nostre zone più infelici colpite dal terremoto e a quel che resta della foresta amazonica, spensieratamente taglieggiata (raso al suolo) dagli improvvidi seguaci del locale presidente di turno, oggi il temibile Bolsonaro, detto il Trump brasiliano, equamente ignaro delle preziose mascherine anti-covid e della salute del sub-continente amazzonico, che ha in sorte di amministrare.
Ma non sono certo quattro nuvolette all’equatore, o un po’ di smog sulla Cina, a fermare (accecare) i magnifici cento-mille satelliti con le loro super-macchine fotografiche, che lavorano perfino in infrarosso a onde corte (SWIR) per segnalarci (per esempio) dove andare a spegnere un incendio. Infatti i sensori dei satelliti possono essere non solo ottici, cioè delle ottime macchine fotografiche che lavorano fotografando soggetti ben illuminati dal sole, ma possono essere anche dei veri e propri radar, che naturalmente se ne infischiano delle nuvole, del fumo e del buio perché sono loro che emettono (trasmettono) la “luce” necessaria, cioè le onde radar dirette verso il soggetto da riprendere, dal quale rimbalzano indietro verso il satellite, che acquisisce così le info (del soggetto) in base a come varia il segnale trasmesso rispetto a quello ricevuto di ritorno. Quindi non abbiamo più scampo, di giorno o di notte niente sfugge ai loro occhi satellitari: che, se c’è il sole tanto meglio perché sono in grado di fare foto dettagliatissime B&W (in bianco e nero) e a colori (meno dettagliate); ma se è buio o nuvoloso o nebbioso i satelliti “attivi” mettono in funzione il loro radar e vedono tutto quello che serve, o quasi. Perché qualche limitazione ce l’hanno anche loro, sia quelli “attivi” che quelli “passivi”, cioè sia i satelliti-radar che quelli a macchina fotografica: per esempio, parrà strano ma “non è possibile osservare di continuo una porzione di superficie terrestre”, afferma il prof, anche se il problema (il “vincolo fisico”, dice il prof) viene risolto utilizzando più satelliti contemporaneamente: così è se ho ben inteso le sue parole, che lui si impegna di semplificare anche se non è sempre possibile, per cui l’interpretazione può essere ardua, se non impervia, aihmè…In realtà c’è un satellite che “sta fermo” nel cielo, e che quindi “vede” la Terra sempre nello stesso modo, vede cioè sempre la stessa porzione di superficie terrestre: è il satellite “geo-stazionario”, che è “fermo” lassù in cielo a 36.000 km di altezza, ed è usatissimo per le tele-comunicazioni e la TV: ma è troppo lontano per effettuare un tele-rilevamento che sia utile, cioè in grado di fornire immagini della Terra sufficientemente dettagliate.
Ma se vogliamo una copertura globale della Terra, cioè per poterla osservare tutta intera, servono satelliti vicini alla Terra (600-800 km) “con orbite polari sincrone con il sole (SSO)” afferma il prof: cioè con “orbite quasi perpendicolari all’equatore con una inclinazione di 97-98° (gradi)”. In pochi giri della Terra, cioè in pochi giorni, con un solo satellite si copre tutta la superficie terrestre, precisa il prof. Inoltre utilizzando due o più satelliti con orbite diverse, o più di uno sulla stessa orbita o su orbite diverse, si ottiene anche una “risoluzione” (nitidezza) di immagini eccellente, come si vede in una foto satellitare dell’aeroporto di Peretola mostrata dal prof, e in altre di un porto della Corea del Nord, probabilmente di origine militare, cioè da un “satellite-spia”, forse made in USA, chissà…
Un esempio clamoroso di utilità “sociale” del tele-rilevamento satellitare è quello del Premio Pulitzer conquistato da quattro giornaliste della Agenzia Giornalistica Associated Press, la maggiore del mondo, americana e fieramente indipendente da Governi e potentati di tutti i generi: le quattro giovani, in un anno e mezzo di assidue osservazioni “satellitari”, hanno scoperto e denunciato un traffico di “schiavi” dell’industria della pesca, in zona Papua-Nuova Guinea: dopo la loro indagine giornalistica 2.000 schiavi sono stati liberati, sono state arrestate 12 persone e confiscati battelli da pesca di notevole valore. Inoltre questo evento ha prodotto una nuova legislazione negli USA sulla trasparenza dell’origine dei cibi, sia per alimentazione umana che animale. Ma si potrebbe anche (sommessamente) osservare che in quelle sperdute zone del Far-East, cioè dell’estremo oriente insulare-equatoriale a nord dell’Australia (che concesse loro l’indipendenza mezzo secolo fa’), si favoleggia ancora, da Salgari in poi fino ai giorni nostri, di alcune curiose abitudini alimentari delle popolazioni autoctone, che sembra non disdegnino cibarsi, in alternativa agli ottimi frutti dei loro mari assai pescosi, dei più consistenti frutti della caccia ai nemici delle finitime tribù, con armi primitive ma assai efficaci: per cui la pesca, pur effettuata in cattività da quei 2.000 tapini, potrebbe anche essere interpretata, in quelle sfortunate e malsicure latitudini, come una via di fuga per la pura sopravvivenza, sempre preferibile all’alternativa “alimentare” per opera di qualche vicino ostile (cioè: meglio schiavo che mangiato…). Ma forse questa prospettiva potrebbe essere sfuggita alle quattro solerti giornaliste, tanto apprezzate in patria da essere incoronate col più prestigioso diadema del giornalismo di inchiesta made in USA, e non solo: vale infatti anche per inchieste giornalistiche in terre lontane dagli States, come questa, e anche a mezzo di satelliti in volo lassù nel cielo blu, che più blu non si può…
Ma quanto costano questi satelliti, dai più grandi di formato-bus ai più piccoli quasi tascabili? Le cifre sono (ovviamente) stratosferiche, riconosce il prof: una bella missione di una grande Agenzia Spaziale può costare anche 800 milioni di $, compreso il lancio e il rientro a Terra; ma i mini satelliti hanno costi minimi, soprattutto quando possono venire lanciati dalla grande stazione spaziale internazionale, che se li porta lassù come un pacco postale, e li lancia nello spazio al momento giusto, con enorme risparmio di costi e con gli stessi benefici dei costosissimi vettori spaziali, cioè dei giganteschi missili che volano lassù, a centinaia di Km dalla Terra. Certo costano enormemente di più dei piccioni-fotografici addestrati a volare, in tempi di guerra, con una macchinuccia fotografica automatica appesa al collo, fin dietro le linee nemiche, raggiunte con la collaborazione di intelligenti cagnetti ben addestrati.
Furono usati entrambi dai super-organizzati (e fantasiosi) militari tedeschi nelle due guerre mondiali, sembra con buoni risultati di rilevamento delle posizioni nemiche: ma non sufficienti alla vittoria finale, Deo gratias…
E la spazzatura spaziale? Chi se ne occupa? Cioè: quando i satelliti cessano di funzionare, e quindi sono diventati inutili, come ce ne liberiamo? A questa domanda, del promotore della serata “spaziale” Duccio Viligiardi, risponde il prof spiegando che alcuni satelliti sono già attrezzati per l’autodistruzione, che avviene grazie ad alcuni piccoli retro-razzi che li spingono in basso verso la Terra, fino alla loro distruzione a contatto con la nostra atmosfera, bruciati dall’attrito con l’aria. Se non li hanno in dotazione (i retro-razzi) i satelliti “morti” vengono “rimossi” da aziende specializzate, veri spazzini spaziali, forse più costosi della (nostra) TARI ma certamente assai efficienti. Alla domanda di Sandro Addario su quanti satelliti girano lassù sulle nostre teste, fra civili e militari: migliaia? milioni? Il prof ha in parte schivato la domanda, spiegando che quelli per il tele-rilevamento terrestre, cioè i “suoi”, quelli di cui si occupa lui, esclusi quindi tutti quelli delle telecomunicazioni, sono alcune centinaia: di cui alcuni solo militari e altri “misti”, cioè che svolgono “missioni duali” sia civili che militari, come il nostro Cosmo 6 che è finanziato anche dal Ministero della Difesa, oltre che dalla nostra Agenzia Spaziale. Ma chissà quanti solo tutti gli altri? Migliaia? Milioni?
A questa seratina (seratona?) interclub hanno partecipato una decina di Rotary fiorentini, diligentemente (e doverosamente) elencati subito da Duccio, il “padrone di casa” del RC Bagno a Ripoli, promotore e organizzatore: il Rotary Club Brunelleschi, Firenze Est, Fiesole, Granducato, Lorenzo il Magnifico, Firenze Nord, Firenze Ovest, Firenze Sud e San Casciano Chianti, quindi più della metà dei diciotto Club di area fiorentina. E questa seratina-seratona- ZOOM si è conclusa con il tenero e appassionato amarcord di un grande veterano dello spazio: il “nostro” Mario Calamia,
che ha chiesto la parola per un suo “ricordo storico” vissuto nel 1994-95, sulla sua pelle, come “Projet Scientist” di tre missioni di tele-rilevamento satellitare, compiute con lo Shutttle abitato da sei astronauti, e voluto dalla Nasa (l’ente spaziale americano) in collaborazione con altre agenzie spaziali nazionali, fra cui anche quella italiana. Scopo delle missioni era quello di “saggiare le potenzialità del radar nel campo della osservazione della Terra”: infatti fino al ’78, ricorda Calamia, il tele-rilevamento satellitare si faceva solo con mezzi ottici, molto più semplici e banali del radar, introdotto in quell’anno (1978) quando il primo radar volò su un satellite. I “suoi” voli, cioè quelli del ’94-’95, “sancirono i campi di frequenza ottimali per le varie applicazioni”, fra cui perfino l’accurato rilevamento delle subsidenze terrestri, cioè di quei lenti movimenti del terreno di alcune zone della Terra, come i Campi Flegrei vicini a Napoli.
Quelle missioni degli anni ‘90, afferma Calamia, sono ancora un riferimento per la creazione di modelli digitali del terreno molto precisi e avanzati, e sono i precursori di tutte le missioni successive di questo tipo, comprese quelle di cui ha parlato oggi Garzelli. Pochi anni dopo, nell’anno 2.000, fu realizzato il primo rilievo completo della superficie della Terra da un satellite che usava un radar con due occhi (come noi), per vedere le cose in rilievo: così Mario Calamia conclude il suo ricordo di scienziato, con i momenti appassionanti della sua vita legata ai satelliti, e alla missione spaziale più importante dopo lo sbarco sulla luna, secondo l’autorevolissimo parere di Samuel Goldwin, quando era numero uno della Nasa (l’ente spaziale americano). Mario ingegnere, scienziato e anche rotariano: quindi….
VIVA IL ROTARY!!
Raccontato da nino.cecioni@gmail.com